Nel mio decennale lavoro con la sessualità ho incontrato un numero sempre maggiore di persone che hanno vissuto vari tipi di violenza o abuso: poteva essere di tipo fisico o psicologico, sessuale o meno, subìto in fase evolutiva o nel presente.
A un certo punto ho sentito di voler dare priorità alla mia missione di diffondere e rafforzare la cultura del consenso e di supportare le donne nel passare dalla sensazione di impotenza a quella di sovranità (potere personale).
Da quando ho scritto per la prima volta questo articolo, molte cose sono cambiate: si parla molto di più del consenso, c’è più attenzione alle tematiche legate alle dinamiche di potere, ci sono molte più informazioni; siamo però ancora lontani dal poter constatare che il concetto del consenso sia diventato parte integrante della nostra quotidianità.
Qui sotto l’articolo originale arricchito di nuove osservazioni.
Nel corso degli anni lavorando con le persone ho scoperto che dire “no” può essere per molti una vera e propria sfida. Quando la nostra capacità di osservare la realtà e la razionalità vengono a mancare, emozioni come la paura prendono il sopravvento e ci governano. Prendere coscienza di poter dire “no” è invece essenziale per una vita autentica e libera. Perché è proprio la consapevolezza del “no” a dare maggior enfasi e convinzione al nostro “sì”.
Capisco che possa sembrare paradossale ma non lo è. Vediamo il perché.
Come creature sociali abbiamo bisogno di essere accettati e amati; è essenziale. Tuttavia a volte possiamo essere così concentrati sul voler piacere all’altra persona da agire in modo tale da trascurare noi stessi. Lo facciamo molto spesso semplicemente perché non vogliamo ferire o deludere l’altro. Nel momento in cui scavalchiamo noi stessi e la nostra volontà a beneficio dell’altro ci ritroviamo, nella migliore delle ipotesi, entrambi in un circolo vizioso di delusione e insoddisfazione, e nella peggiore in uno di abuso.
Onorare noi stessi
Quando miriamo a compiacere l’altro attraverso un “sì” (sentendo invece dentro di noi un “no”) stiamo ignorando noi stessi e i nostri stessi bisogni. Chiediamoci a questo punto: qual è la relazione più duratura, la più importante della nostra vita, quella con noi stessi o con l’altro? Con chi e per chi vogliamo davvero impegnarci?
Quante volte abbiamo acconsentito a una cosa soltanto per non dispiacere la persona che ce la chiedeva o per “non risultare maleducati”? Come sarebbe stato onorare il nostro sentire? Quanto diversa sarebbe stata l’esperienza se avessimo davvero potuto manifestare la nostra verità mettendo noi stessi al primo posto?
Quindi che cosa è davvero il consenso?
Il consenso è la reale abilità di poter scegliere, è un processo continuo di vedere e valutare tutte le opzioni possibili e agire liberamente di conseguenza.
Vuol dire:
- essere in grado di sapere e sentire cosa vogliamo e cosa no,
- avere abbastanza informazioni per poter decidere
- riuscire a comunicarlo al/la nostro/a partner.
È basato sulle nostre personali sensazioni intime: per praticare consenso è pertanto indispensabile una profonda connessione con esse.
Significa osservare e accogliere la difficoltà di dire di “sì” a una cosa e “no” ad un’altra, e sentirsi liberi di poter cambiare idea in qualunque momento.
Comunicare queste scelte non significa ignorare i sentimenti degli altri: vuol dire poter affermare ciò che vogliamo, così come le altre persone hanno lo stesso diritto su se stesse. Questo non va assolutamente confuso con l’egoismo.
Allo stesso modo si tratta di prestare attenzione a come si sente l’altra persona: domandare, ascoltare e rispettare la risposta.
Il consenso deve essere chiaro
Non possono essere fatte supposizioni su cosa sente l’altro: l’unico modo per saperlo con certezza è chiedere e prestare attenzione se è stata data una risposta affermativa. Se permane qualche dubbio significa che non abbiamo il consenso.
Il consenso deve essere esplicito
Non si tratta soltanto dell’assenza di un no, ma dovrebbe essere un sì entusiasta. Ancora fino a poco tempo fa l’assenza di un no veniva equiparata a un consenso (pensiamo al detto chi tace acconsente). Oggigiorno il consenso sessuale deve andare oltre: non si tratta semplicemente di mancanza di disaccordo (chi tace semplicemente sceglie il silenzio), ma di un accordo volontario. Se è poco chiaro, detto con riluttanza o forzato, non è consenso.
Il consenso deve essere alla pari
Praticare il consenso richiede che venga prestata molta attenzione agli squilibri di potere: il confine tra il consenso e coercizione diventa molto meno chiaro e netto quando tra le persone coinvolte non c’è una dinamica paritaria. Questo è particolarmente vero nelle situazioni di abuso narcisistico.
È dunque importante per tutti imparare cosa sia il consenso sin da quando siamo giovani, perché sapere come dare e ricevere consenso è uno degli strumenti più pratici e immediati nel prevenire la violenza sessuale e sfidare la cultura dello stupro.
Consenso e sessualità
Se esplicitare il consenso in contesti quotidiani può risultare difficile, calarlo all’interno di un contesto sessuale tende a creare un disagio addirittura maggiore. Questo è dovuto sia allo “stigma” (impronta) che è stato dato alla sessualità dalla società, sia alla mancanza di competenze nell’impostare i confini nelle relazioni romantiche e sessuali.
Spesso ci sono bisogni e istinti di sopravvivenza (specialmente per noi donne) che entrano in gioco quando si arriva al sesso. Gli istinti di sopravvivenza si trovano nell’inconscio, ma la capacità di decidere consensualmente implica avere accesso alla coscienza. Diventa quindi complicato riuscire a osservare quali parti di noi dicono sì e quali invece dicono no quando questi istinti e bisogni prendono possesso del nostro corpo.
È necessario imparare a essere consci di come il nostro corpo reagisce alle persone, riconoscere quando le decisioni provengono da un luogo di scelta autentica, piuttosto che da paure o condizionamenti.
Le persone che vivono o hanno vissuto in una condizione di stress acuto, abuso, violenza o trauma, hanno a disposizione una ridotta capacità di rimanere all’interno della finestra di tolleranza. Questo implica che la loro abilità di prendere una decisione conscia è diminuita significativamente: quindi per poter dare un consenso e fare una scelta autentica è fondamentale stare all’interno di tale stato.
Il classico esempio può essere avere un rapporto apparentemente consensuale, e in seguito percepire una sensazione di incertezza, di dubbio se effettivamente è stata un’azione voluta e consapevole o se abbiamo ceduto, perché ormai coinvolti in una situazione dove sarebbe stato “strano” dire di no.
Come menzionato sopra, per poter definire un rapporto consensuale non può trattarsi di una mancanza di un no o peggio di un silenzio interpretato come un si, ma di un sì convinto ed entusiasta.
Questo cambiamento, in qualche modo epocale, permette un ulteriore passo in avanti, ovvero insegnare il consenso in una prospettiva “sex positive”. Stimolare i giovani a scoprire, decidere e comunicare ciò che desiderano (polo positivo) in una relazione sessuale e non solamente ciò che non desiderano (polo negativo).
Insegnare il consenso dalla prospettiva positiva del sesso non solo ci stimola a prendere decisioni informate sul proprio corpo e sulle esperienze realmente volute, ma ci rende più forti nell’evitare le esperienze sessuali indesiderate o peggio ancora la coercizione.
L’educazione sessuale può promuovere una cultura in cui si imparano a rispettare tutte le forme del “no” ma anche e soprattutto a godere di tutte le forme del “sì”. Una rivoluzione.